S. MARIA A PIAZZA
Parlare della costruzione e dell’estensione temporale – storica della Chiesa di S. Maria a Piazza significa toccare il cuore stesso della Città di Aversa. Infatti questo Tempio, monumento nazionale, fu il nucleo primordiale intorno a cui si sviluppò la vita sociale, economica, politica e religiosa della nascente comunità cittadina. Anche se sommariamente, si può dire che la Chiesa di S. Maria a Piazza confonde le sue origini con quelle della città di Aversa, anzi la precede!
La scarsità della documentazione non permette di fissare l’origine della Chiesa ad una data precisa, ma certamente essa ha vissuto intensamente le ansie e le attese dell’anno Mille. Vale la pena visitare nella vostra vita. Quando viaggi e visiti nuovi luoghi, ci sono alte probabilità che i parassiti entrino nel tuo corpo. Quindi è molto importante che si prende Germitox durante il viaggio in quanto aiuterà a sbarazzarsi dei parassiti. È possibile controllare le recensioni nel sito online per saperne di più sul prodotto.La comunità attorno ad essa, anche se non organicamente composta, aveva una sua laboriosa vitalità che svolgeva nella zona “in octabo” (situata presso il XIII miliario da Pozzuoli) ad un miglio dalla Cassinese Badia di S. Lorenzo “ad septimum“.
Ne consegue che all’arrivo dei Normanni, il casale di S. Paolo at Averse non era certamente un’aperta campagna disabitata e palustre, ma “un’entroterra“, come sostenuto da un manoscritto della biblioteca comunale, in cui ferveva tutta una vita sociale, politica e religiosa intorno alla “Platea di S. Maria“. In effetti era un entroterra dove potevano trovare rifugio sicuro esiliati o fuggiaschi sia giudei, sia greci, sia bizantini, sia longobardi, sia gli stessi superstiti dell’incendiò di Atella. Questa comunità, sebbene eterogenea, si presentava ai Normanni, nuovi padroni, con una propria struttura organizzata su tutto, eccetto a livello militare: economicamente, socialmente, giuridicamente e religiosamente. Fatto sta che gli storici tengono a sottolineare che i Normanni dovettero adattarsi, rozzi com’erano, alle usanze e consuetudini vigenti in questa comunità. Come detto, fra i fuggiaschi vi erano anche bizantini e greci, e probabilmente furono proprio costoro, devotissimi alla Madonna, a volere innalzare come segno di grande
devozione un tempio alla Madre di Dio, attiguo alla piazza dove svolgevano
le loro attività. E ciò avveniva sicuramente prima dell’anno
Mille. Ne consegue che, unitamente alla comunità organizzata, i
Normanni, al loro arrivo, trovarono già il Tempio di “Sancta
Maria de Platea“, che poi vollero ingrandire ed abbellire
con qualche sovrastruttura molto originale.
L’antichità di questo borgo di S. Maria “de platea“,
centro di vita. è testimoniata anche da due cippi lapidari, rinvenuti
in Via Cedrangolelle (a pochi passi dalla Chiesa) con leggende, i quali
sono incastrati l’uno dì fronte all’altro, ai due lati del portone
di entrata. In una si legge: “Ampellium – Liberta – Patrono –
L. Naevo L .L. -Antioco – Speculano – Ossa hic sita sunt“. Nell’altro
è scritto: “Have – Arniae O. L. Agathae – Ossa heic sita
sunt“, Tali cippi sono sicuramente di epoca romana, e quindi
anteriori alla venuta dei Normanni. Un’altra testimonianza dell’antichità
della Chiesa ci viene offerta dallo stesso Parente che
osserva che “Intanto io dico se nel
1053 è stato fondato l’episcopato aversano dal papa Leone IX, nominando
vescovo un certo Azzolino, in quale Chiesa si è appoggiato tale
episcopato? Certamente S. Paolo non v’era ancora, io credo nella Chiesa
più antica che era S. Maria a Piazza“.
Come per l’origine così per la stessa denominazione S. Maria “de
Platea” vi è abbastanza discordanza tra le fonti. Tale
discordanza è in funzione dell’ubicazione del castello donato ai
Normanni, e, quindi, dalla stessa posizione locale o spaziale che la Chiesa
occupava rispetto a quello. Molti storici, tra cui il Parente, non hanno
dubbi che S. Maria “de Platea è detta così perché
in prossimità del Castello“. Il Vetta, poi, rifacendosi
al Padre Costa sostiene che in Aversa vi era un antichissimo Castello,
della cui fondazione non si trova memoria e lo colloca alle spalle della
Chiesa di S.Maria a Piazza. Dice che il Castello aveva una piazza d’armi
che stava proprio alle porte di Aversa per difenderla dagli attacchi dei
nemici, aveva fortificazioni e fossati che erano certamente inutili al
centro della città.
Non così però il Gallo il quale fra l’altro scrive: “prospiciente
su la pubblica platea“, cioè sul mercato, centro della
vita commerciale della città, “la Chiesa di S. Maria a
Piazza occupava su per giù l’area attuale“. Il Pagliuca
invece, sostiene che il Castello Normanno non era alle spalle della Chiesa
ma era ubicato dove poi vi fu il Conservatorio delle Vergini di
S. Gennaro, quindi non presso la Chiesa di S. Maria a Piazza
ma presso il Duomo, basandosi su alcune pergamene
conservate nell’archivio Capitolare:
– La XIII intitolata, “privatorum rationes“: “nel
marzo del 1151 Riccardo Corveserio abitante di Caserta pel pezzo di 240
tari di Amalfi vende a Guiscardo Arcidiacono della Chiesa di S. Paolo
a Aversa, una casa fabbricata nella piazza pubblica, la quale chiamasi
Santa Maria“;
– La III intitolata “emptiones“: nell’aprile del 1168
Roberto “de S. Paulo” vendette al Capitolo due botteghe
contigue situate in Aversa in publica platea, le quali avevano come confine
la casa di Pietro Mauro ed il pozzo pubblico della piazza (et pluteum
publicum platae);
– La IV intitolata “emptiones“: “Nel dicembre
1178 Nicolina, moglie di Adamo Felerino, vende al Capitolo una bottega
situata in Aversa nella piazza pubblica al luogo chiamata la Beccheria“.
Da tutto ciò, conclude il Pagliuca, risulta chiaro che “de
platea” non sta per “arx munita” ma solo
come piazza pubblica. Dunque il Castello non era dove si vuole che fosse
dal Parente e da altri storici di cose aversane.
Una conferma potrebbe venire da una pergamena del 1189
in cui un certo Idventino, figlio di un conte, diede in permuta alla Congregazione
del Vescovo della città di Aversa “una presa di terra
ereditaria” situata in “ruga castello” (in
via Castello), dove un tempo vi era la Giudaica, non lontano dallo stesso
episcopio”.
L’origine del nome è, e rimane controversa, comunque resta il fatto
che la Chiesa sorgeva al lato est della piazza e quindi nel suo iniziale
“de“, per cui potrebbe anche significare “la
Chiesa posta al lato est della piazza“.
L’ antichità della Chiesa di S. Maria a Piazza ci viene attestata
anche dalla sua strutturazione artistica.
Il Parente così scrive: “antichissima Chiesa di stile
longobardo, con l’arco acuto, sì sfigurata dai successivi restauri
ch’è una pietà a vedere“. Ed inoltre: “in
mancanza di primitivi documenti storici, abbiamo queste pruove dell’antichità
sue: 1) lo stile longobardo, con arco acuto, certi capitelli eleganti
chissà donde portati, forse dalla vicina Atella, accanto ad altri
rozzi,
qual
lo scalpello di quei tempi seppe fare. 2) Certe antiche dipinture. 3)
La precedenza dei suoi parrochi sopra tutti gli altri, alle pubbliche
processioni. 4) la denominazione di S. Maria “de platea”.
Dell’antica sua struttura sopravvivono l’ampia abside, che abbraccia le
tre navate, recante tuttora le finestre a strombo di stile romanico, le
quali rappresentavano una tecnica costruttiva diversa da quella della
Cattedrale e di S. Lorenzo, dove gli archi hanno una più ampia
curva ed una maggiore possibilità di consentire rifiniture ed ornamentazioni.
Riguardo ai dipinti che attestano l’antichità della Chiesa, uno
è l’affresco situato sulla parete della navata sinistra nei pressi
della porta secondaria, raffigurante Maria Vergine col Bambino, in trono,
l’altro è la tavola, documento preziosissimo, di stile bizantino,
attribuita ad un pittore locale raffigurante la Vergine bruna col Bambino
del XII sec.La Cupola, è di epoca tarda e balza subito agli occhi
la giustapposizione della cupola alla primitiva struttura della Chiesa.
Il Gallo così scrive: “Due sono le cupole a calotta, inserite
su di un tamburo a sezione quadrata in un primo ed ottagono in un secondo
piano, rimontano sicuramente a tempi posteriori e come si vede dalle finestre
ogivali che si aprono in esse, in origine dovevano essere tre, una per
ciascuna navata”.
Del periodo gotico è l’arco acuto, cioè l’arco trionfale,
che si eleva all’inizia dell’altare maggiore.
Molto più antico invece è il campanile, il quale è
sicuramente contemporanea alla costruzione della Chiesa stessa. Esso è
incompiuto, ma è una caratteristica stilistica organicamente inserita
nella struttura generale. La Chiesa è caratterizzata da molti stili:
longobardo, normanno, gotico, romanico, bizantino e arabo, con la prevalenza
di quello longobardo. Anche la planimetria è abbastanza asimmetrica.
E’ a croce latina, con apertura verso Ovest. E’ a tre navate e l’uniforme
nudità dei suoi pilastri massicci e lineari, delle pareti e delle
volte a vele delle navate laterali rappresentano un pregevole modello
di solenne semplicità, resa più marcata dalla fioca luce
riflessa dei suoi vetri, che originariamente erano colorati ed istoriati.
La navata centrale è costituita da muri alti poggianti su archi
e colonne di tufo coperta da impalcatura a capriate. Questa volta è
fatta di legno, completamente rifatta durante l’ultimo restauro (1945-65).
Si volle riportarla allo stile originario poichè durante il XVIII
sec. la soffittatura era a cassettoni di stile barocco. Di epoca posteriore
è l’arco trionfale, gotico, necessario per dividere la navata dal
presbiterio e per essere di sostegno alla cupola. Al centro del presbiterio
vi è l’altare basilicale, ricostruito sul fondamento dell’antico,
con monoblocco di pietra sormontato da una tavola di marmo ampia e pesante.
L’altare è al centro della Cupola ottagonale, molto ampia, originale
sia per la forma sia per i motivi architettonici posti a mo’ di sostegno
ai quattro lati di essa. Sono quattro pennacchi che oltre ad essere motivi
architettonici sono anche ornamentali ed unici nel loro stile. L’abside,
non molto ampio, è abbellito da due archi di cui uno delimita la
parte posteriore del presbiterio ed è formato da colonne romane
giustapposte, diverse, asportate sicuramente dalla vicina Atella, dopo
la sua distruzione per incendio. Le navate laterali hanno la volta a crociera,
sempre in tufo, mentre esternaménte presentano un andamento sinusoidale
di stile arabesco. Le navate terminano con due calotte che forse originariamente
dovevano essere cupole intere con una terza al centro, poi ridotte nella
forma attuale per ottenere la cupola centrale ottagonale.
La navata di sinistra incorpora il campanile nel suo inizio ed era molto
più lunga dell’attuale essendo stata chiusa l’ultima
arcata per ottenere una sacrestia.Anche la facciata è asimmetrica ed è costituita da un rosone, che illumina la navata centrale e da tre porte, molto diverse tra loro.Sulla porta centrale poggia un architrave sormontato da un arco acuto sul quale fa bella mostra un Agnus Dei, simbolo marmoreo; sulle altre porte, come sulla centrale vi sono lunette in cui fino a poco tempo fa si potevano ammirare degli affreschi, ora quasi completamente distrutti.
Entrando dalla porta centrale si nota, subito sulla destra, una “Crocifisione” di Anonimo del XII Sec. di stile giottesco: con la Madonna ci sono San Giovanni Evangelista, San Giovanni Battista, il primo a sinistra, e (forse) San Gregorio Magno l’ultimo a destra. Don Salvatore De Filippo, parroco, sostiene che l’autore volle esprimere l’idea della continuità del Vecchio col Nuovo Testamento mediante le figure di San Giovanni Battista, ultimo rappresentante del Vecchio Testamento, e tramite Cristo, nato da Maria Vergine, Crocifisso, che attraverso Giovanni Evangelista, perpetua il suo messaggio nella Chiesa, rappresentata dal Pontefice e dal Sacerdozio perenne. La sovrintendenza nel suo catalogo-inventario lo attribuisce ad un anonimo del XIII sec. Sullo stesso lato vi è l’affresco dell’ “Adorazione dei pastori” di cultura pinturicchiesca (XV – XVI). In esso si scorge la calata dei magi a destra, e a sinistra, in alto, Betlemme. Importante
dell’affresco è la struttura architettonica dell’epoca e i costumi.
Ancora sul lato destro, sotto la semicupola, vi è il discusso affresco
della “Dormitio Virginia”, scuola
di Giotto,
XII sec, (a destra, part.) molto deteriorato dal tempo
e dall’uomo (si notano infatti impietosi colpi di piccone). Il Parente
non ne fa menzione esplicitamente, in quanto al suo tempo questo affresco
era ricoperto da intonaco,ma lo suppone quando scrive: “Affreschì
ve n’ha di molti eziando e buoni, vuoi del Giotto o del Ferrata”.
Ma se il Parente parla di Giotto, inequivocabilmente, e non della scuola
di Giotto, la questione rimane ancora aperta. Gli studiosi di arte o di
storia dell’arte non sono unanimi nei loro giudizi: alcuni propendono
per Giotto, altri per la sua Scuola, altri addirittura lo attribuiscono
al Cavallino.L’affresco ha forma semicircolare, diviso in tre piani sovrastanti
o tre emisferi: nel primo, in basso, è rappresentata la morte della
Vergine, attorniata da Apostoli e discepoli tra cui spicca San Giovanni
Evangelista (da notare la sua mano di stile giottesco); nel secondo, più
in alto molti altri Santi appartenenti a diversi ordini religiosi; infine,
in alto, gli angeli con la SS. Trinità. Se la notizia della matrice
giottesca dell’affresco, ad un più approfondito esame, risultasse
esatta sarebbe uno dei pochi affreschi del grande maestro ancora esistenti
nell’Italia meridionale. Comunque la Sovrintendenza lo attribuisce alla
Scuola di Giotto del XIII sec.
Accanto ad esso si apre un bugigattolo,
recuperato anche esso durante il restauro, interamente affrescato. Vi
è una Natività di stile molto primitivo; una immagine di
S. Pietro Celestino,
seduto in trono, con accanto a destra due riquadri, a sinistra tre, raffiguranti
la fondazione dell’ordine dei Celestini e il monastero di Casaluce; due
Santi di cui uno con la ruota della vita e l’altro reggente un cuore sul
petto;il Collegio dei dodici Apostoli
con Cristo al centro; una Crocefissione
con la Madonna
ai piedi della Croce; S. Michele Arcangelo; una Annunciazione
che ripete molto lo stile del Beato Angelico; una Madonna
bruna, molto bella. Una Natività
di S. Giovanni Battista, di buono stile, del XV sec.,
su tavola.
Nell’abside, poi, si conservano due affreschi: uno di S. Lorenzo (accanto alla porta della sacrestia) e l’altro di Santa Lucia (di fronte ad esso) di un certo Tommaso Cardifio di Aversa. Nella navata centrale, sulla seconda colonna, un affresco di gusto senese: la Madonna col Bambino con a destra Papa Innocenzo III e a sinistra San Francesco d’Assisi, in alto la SS. Trinità con gli Angeli. E’ attribuito a Cicino da Caiazzo intorno al 1480. Infine, l’affresco che si trova accanto all’ingresso secondario in cui scorgiamo la “Vergine col Bambino in trono(1480 circa)”di gusto senese. Un tempo, come già detto, secondo le testimonianze, figuravano in basso due scritte in greco, Theotocos (Madre di Dio) e Cristotocos (Madre di Cristo), segno indiscusso della devozione dei bizantini, ora scomparse per i continui rifacimenti, per l’usura del tempo e per il cattivo servizio ad essa reso dalla copertura con intonaco nel XVIII sec. L’affresco, infatti, è stato recuperato durante i restauri terminati nel 1965.
Ci sono anche quadri e tele di varie epoche. Una Madonna, detta di “Santa Lucia” (Part. a destra)di stile greco-bizantino, del XII sec. su tavola. Una Natività di S. Giovanni Battista, di buono stile, del XV sec., su tavola. Le anime del purgatorio in cui figurano la Madonna con S. Francesco di Paola e S. Antonio Abate, di pregevole fattura, della scuola del Santafede, del XVI sec., su tavola. Una Madonna col Bambino, Santa Chiara e Sant’Andrea, di O. Marchione, del ‘700, su tela. San Francesco di Paola, quadro oblungo sito nella Cappella fatta edificare dal Can. De Valle, cappellano della Chiesa, il 5 marzo 1430, attribuito a Massimo Stanzione, su legno, proveniente dalla demolita Chiesa di San Francesco di Paola nel 1917. Infine, a completamento del patrimonio artistico della Chiesa vi è la recente scultura lignea dell’artista locale Vincenzo Rennella, raffigurante in un solo blocco Cristo morto, anteriormente, e la Madonna e Giovanni Evangelista, posteriormente.